“Leggere scritture sacre è obbedire a una precedenza dell’ascolto. Inauguro i miei risvegli con un pugno di versi, così che il giro del giorno piglia un filo d’inizio. Posso poi pure sbandare per il resto delle ore dietro alle minuzie del da farsi. Intanto ho trattenuto per me una caparra di parole dure, un nocciolo d’oliva da rigirare in bocca.”

Erri De Luca e la bibbia

il traduttore ed il commentatore di quelle antiche storie

immagine

 

 

...aggiungere una postilla all’immenso commentario accumulatosi nei millenni”. […] Ma l’ambizione di tentare una nota in margine alla bibbia, che non è un libro ma una intera letteratura, può procurare solo una vertigine. Quella del granello di sabbia soffiato in cima alla duna. Affrontando alture si apprende che in una scalata il vuoto è composto da tutti i passi lasciati alle spalle, l’abisso è quello che si è già commesso. Sul testo il vuoto è invece l’ignoto delle pagine seguenti in cui smarrirsi se i passi uscirono di traccia

Erri De Luca

 

 

 

 

Erri il Maccabeo

La sensazione che mi venne alla prima lettura di Erri De Luca fu quella del martello. Era Esodo/Nomi, libro prestatomi da tal Vincenzo (indi rubatogli). C’era quella traduzione, già desiderata, e c’erano le note in piccoli caratteri ad ogni versetto. Ognuna di quelle note colpiva la tempia con rumore. Per lunga assuefazione a libri che in lunghe lungaggini esprimevano un solo concetto, una sola idea, una sola emozione (in tutto un capitolo o in un intero libro), qui trovavo il numero invece, il numero di tanti concetti idee ed emozioni. Un martello, impietoso, in piena tempia.

 

 

 

 

 

ricominciare da zero

Erri De Luca inizia a scrivere di bibbia su un foglio bianco. Cosa che non accade mai al commentatore usuale, che proviene in genere dai cinque anni di corso di laurea in teologia e da quelli specialistici presso qualche istituto di studi biblici, pontificio o no. Questi quando inizia a scrivere ha già sottoscritto e ad ogni frase sottintenderà una quantità grande di nozioni, ormai punti fissi degli studi. Erri De Luca, e come lui i non specialisti che si occupano di bibbia, comincia da zero, si pone domande che nessuno si pone più. Come se l’insieme degli studi fosse un’edificio di cui ormai sono state già costruite, da gran tempo, fondazioni e piano terra e primi piani, i muratori si occupano solo di proseguire, non badano più a quello che hanno fatto prima gli altri. Per fortuna sta cambiando un po’ questa situazione e grandi pezzi di questo edificio vengono rimessi in discussione, come la famosa teoria dei quattro documenti del Pentateuco. Agli scritti del nostro deriva freschezza.

 

inedito

Molte cose di Erri De Luca sembrano inedite, mai sentite prima. Ciò forse non è possibile, è talmente sterminata la produzione di commenti biblici che una qualunque cosa che si dice qualcuno la ha già detta. Non darei di nessun concetto il diritto d’autore a qualcuno. Nemmeno esiste questa pretesa nel nostro. I concetti scritti da De Luca vogliono anzi presentarsi come cenni emozionali piuttosto che come concetti.

In un intervista dice: “… aggiungere una postilla all’immenso commentario accumulatosi nei millenni. […] Ma l’ambizione di tentare una nota in margine alla bibbia, che non è un libro ma una intera letteratura, può procurare solo una vertigine. Quella del granello di sabbia soffiato in cima alla duna”.

 

fonti

Inoltre Erri De Luca dichiara che ha attinto da fonti. Come già si è detto è importante non credere a una personalità isolata, magari geniale ma staccata da quella che è invece una sensibilità molto diffusa (egli sarà pure uno solo, ma noi che lo leggiamo siamo parecchi… tirature molto alte per le case editrici che lo pubblicano). Non cita nomi e non mette bibliografie in appendice. A mio parere atteggiamento corretto. Che senso ha riportare che un tal commento sul sogno della scala di Giacobbe è stato letto in DE VAUX, R., Le Istituzioni dell’Antico Testamento ecc ecc. per quanto questi sia un classico, chi può dire che sia stato scritto da De Vaux per la prima volta? C’è solo un vago conforto nel far sapere che anche De Vaux la pensava così. Meglio non mettere nessuna bibliografia, a meno che non si stia scrivendo un testo molto specifico per cui occorre ricapitolare la ristretta letteratura specifica a quel’argomento.

 

 

 

ebrei

A volte Erri De Luca cita fonti ebraiche. Non è il solo, per fortuna c’è stata una felice riscoperta di queso patrimonio letterario e spirituale negli ultimi anni. Sempre più spesso si cita il Talmud o un Midrash e con molti frutti. In più il nostro utilizza anche scritti moderni e poco conosciuti, come quelli della letteratura yiddish. Conosce anche la letteratura dell’Israele moderno, quella laica, in una intervista consiglia di farne conoscenza. Effettivamente è luogo di grandi esperienze umane, unico posto in cui la cultura di noi occidentali si incontra con altre.

 

 

cultura orale

Se ne parla, per fortuna, molto ultimamente. Erri De Luca la considera come fatto essenziale e cerca di individuarla e trovarla nelle sue letture del testo scritto. Riporto questo passo trovato in un’intervista (--> Narrare il mondo - la letteratura):

"La letteratura orale, il racconto che prevede la presenza di qualcuno in faccia, che ascolti e che abbia voglia di stare a sentire, questa usanza che precede le letterature. Le precede perché la letteratura, poi, alla fine, è la stesura definitiva di un racconto orale che è cresciuto, e in genere si scrive qualcosa, per esempio, è successo per i Testi Sacri, ma anche per i testi delle letterature antiche, si scrive quando si comincia a perdere la memoria. La scrittura è come una specie di risarcimento o di trattenimento di quello che si sta disperdendo nel passaggio delle generazioni. Ci sono delle generazioni che cominciano a dimenticare, allora si sente la necessità di trattenere, di mettere per iscritto. Ecco è una riduzione della tradizione orale. La stesura definitiva di un testo, nasconde, cancella tutta la grandiosa stesura orale precedente, la riduce a un solo formato. Dunque la letteratura, quella che a noi ci piace leggere, eccetera, è il prodotto finale, finito e ridotto di una grandissima attività di trasmissione orale…"

Della cultura orale che sta nei testi della bibbia se ne parla molto, anche se l'impressione è che nessuno ci voglia dire cosa sia e come è fatta e come funziona. Ad Erri De Luca, forse, viene in aiuto la sua origine napoletana. Napoli è il luogo dove sopravvive un'arte antica del parlare, dove chi parla di qualcosa allude anche a qualcos'altro, e chi risponde riesce a rispondere sia alla questione posta in chiaro sia a quella a cui si alludeva. In quella città questo accade tutti i giorni per le strade, che sono luoghi di incontro e non di solo spostamento. Sono tenute in gran conto le sfumature del discorso, l'accortezza nell'uso delle parole. Cercando questi meccanismi nella bibbia molti passi difficoltosi appaiono chiari. Anche qui il problema è di superbia, bisogna avere umiltà per riconoscere la nostra limitatezza nell'arte del parlare e per riconoscere una grandezza in quelle culture che invece quell'arte ce l'hanno, arte fatta di intelligenza e raffinatezza.

 

 

diverse letture

In una intervista ha detto: "uno che ha fede legge in quel libro molto più di quel che leggo io (non credente)". Invece penso che accada proprio l'opposto. È il credente che legge di meno, molto di meno. Chi crede vuol leggere solo due cose, vuole sentirsi dire che Dio lo ama e soprattutto che presto lo aiuterà nei suoi bisogni/desideri. E, si sa, si vede solo quel che si vuol vedere. La bibbia è il libro più letto di tutti i tempi e allo stesso tempo il meno letto, il più travisato, il più liberamente interpretato. Mirabolante fenomeno.

 

 

frasi scolpite

Lo stile di Erri De Luca è fatto di staccati, frasi brevi spesso separate da sovrabbondanza di punti fermi. Parole scolpite, frase un po’ abusata ma che viene spontaneo usare, e sorprende l’ascoltarle anche dalla sua voce, stesso stile nel parlare e nello scrivere. Ebbene, così è anche il testo ebraico. È un testo che si costruisce con pochissime parole, che costituiscono frasi di peso grosso. In genere si dice che sia proprio la lingua a costringere a ciò, essendo l’ebraico una lingua fatta di pochi vocaboli e di grammatica semplice, ma qualcuno pensa che sia una scelta di quegli antichi autori. E infatti ci sono libri della bibbia, specie quelli più recenti, che non hanno questa caratteristica, il narrare è dilungato e diluito, identico al narrare dei nostri romanzi.
Tobia 6,1: Il giovane partì insieme con l'angelo e anche il cane li seguì e s'avviò con loro. Camminarono insieme finché li sorprese la prima sera; allora si fermarono a passare la notte sul fiume Tigri*.
Lo stile dei testi più antichi è invece uno staccato fatto di brevi sentenze. Stile roccioso, se tre parole sono bastanti per dire una cosa, tre parole si trovano scritte nella bibbia. Ciò è molto lontano dalle nostre abitudini, da noi si scrive un lungo discorso per dire un concetto, a volte un intero libro per dire una sola cosa. Per esempio quando si parla di amore tra un uomo e una donna della bibbia c’è solo una frase a raccontarlo, un’unica frase che ne racconta l’intensità o eventualmente il dramma. Per esempio:
• Genesi 24,67: Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l'ebbe cara. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.
• Genesi 29,20: Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei.
• Paltiel e Mikal. 2Samuele 3,15-16: Is-Bàal mandò incaricati a toglierla al suo marito, Paltiel figlio di Lais. Suo marito la seguì, camminando e piangendo dietro di lei fino a Bacurim. Poi Abner gli disse: «Torna indietro!» e quegli tornò.
• La moglie di Ezechiele Ez 24:16: Figlio dell'uomo ecco, io ti tolgo all'improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima.
È questa una delle tante lontananze che ci sono tra noi e quegli autori e una difficoltà. Erri De Luca riesce a cogliere e a far cogliere questa fortissima stringatezza. Forse perché gli è propria. O forse gli è diventata propria a furia di frequentare quei testi. Tra i suoi libri che trattano della bibbia e gli altri io trovo quest’unica comunanza: l’uso delle frasi scolpite.


 

analisi letteraria

Nei commenti, nelle note alle sue traduzioni stampate a carattere piccolo, Erri De Luca riporta certe piccole notizie di grammatica. Cose molto semplici. Per esempio ci segnala se un imperativo è nella sua forma tenue o perentoria. In ebraico esistono queste due forme, in italiano no ed è necessaria la nota per venirlo a sapere. Chiaramente ci rendiamo conto che è importante, cambia non solo il tono di una frase ma anche il senso. Un conto è dare l'ordine di fare una cosa, un altro è invitare a fare una cosa. Nelle note delle Bibbie ufficiali mancano questi particolari.

Tante sfumature che riescono a tratteggiare una scena con precisione di successioni di gesti e di emozioni. Dovrebbe farsi anzitutto la sola analisi letteraria, semplice e fruttifera.

 

 

una delicata apprensione

Dalla nota 110 al libro di Rut: Vergognare: verbo frequente nei profeti Geremia ed Ezechiele (sei volte ognuno). Indica un sentimento profondo. Davide chiede a Dio in un salmo (69,7): "Non siano svergognati in me (causa mia) quelli che ti cercano". Per uno che non ha fede e si dedica a tradurre versi sacri, questo è l'assillo principale. Non si trovino offesi per causa mia quelli che cercano.

 

credente non-credente

In varie interviste e in vari suoi scritti si legge del suo dichiararsi non-credente. Stranamente non si crede a tale dichiarazione, scandalizza l’idea che il contatto con la parola di Dio non abbia avuto il magico potere di convertirlo. Dovrebbe viceversa scandalizzare il fatto che noi credenti restiamo ciechi e insensibili davanti alla materia umana della bibbia, materia incandescente al calor bianco che riusciamo a spegnere del tutto in cieli azzurri di uno spiritualismo di comodo. Ci torna comodo mettere Dio in cielo e levarlo dalla terra.
Dalla premessa di Nocciolo d’oliva:
Da lettore assiduo di scrittura sacra frequento l'ebraico antico delle prime storie, dei profeti, dei salmi raccolti nell'Antico Testamento. L'usanza quotidiana non ha fatto di me un credente. La mia esperienza di lettore accampato fuori dalle mura dipende, per me, da due inciampi.
Il primo è la preghiera, questa potenza e possibilità del credente di rivolgersi. Dare il «tu» a Dio, con le variazioni che stanno tra l'imprecazione e la supplica, è l'arbitrio meraviglioso della creatura che risale alla sua origine e l'interroga, la chiama, la scuote dalla sua distanza. Chi ha esclamato per la prima volta la prima preghiera non può averla inventata. Può solo aver reagito a una chiamata con una risposta, come Abramo col suo « hinnèni », eccomi. Eccomi è la prima parola, la premessa di ogni preghiera. La creatura si separa dal resto della specie e del creato, si esclude per stabilire la relazione. La preghiera avviene sempre in un'estremità del campo. Si legge nel salmo 78: «E li condusse al suo confine santo» (Sal 78,54). Dio porta gli ebrei nel deserto, perché quello è il luogo dell'in contro. Non li chiama in un centro, in una piazza, ma nell'isolamento inospitale del vento e del la polvere. Nel deserto: questo è il luogo fisico della preghiera. Il credente fa il vuoto intorno a sé e così fa avvenire l'incontro. Leggo nel verso del salmo un doppio spostamento: quello del popolo che segue la via maestra del deserto e quello di Dio che si sposta anche lui per andare. Ha rinunciato a essere dappertutto per far posto alla crea tura e al creato, perciò anche lui deve raggiungere il confine per incontrare i suoi. Il silenzio di Dio è il suo ascolto, chi prega lo raggiunge. Non lo so fare, non so rivolgermi. Forse uno come me si accanisce nella scrittura proprio perché non sa rivolgersi nemmeno agli altri e riduce lo scambio a questo crampo della mano, al saliscendi di una penna che traccia lettere su un foglio. Fingo che sia la mia voce, l'impulso di suscitare un sorriso, un'intesa, un affetto. Non so rivolgermi, non so il pronome della preghiera. Pratico il surrogato «tu» della scrittura. Parlo di Dio in terza persona, leggo di lui, sento parlare di lui e sento vivere altri di lui (chiedo di lasciarmi il carattere minuscolo di «lui». Chi non crede non ha il diritto di usare la maiuscola) i volontari cattolici che mi hanno portato con loro
.

 

 

sensazionalismo

 

Erri De Luca non estrae dai testi interpretazioni sensazionali. Tanti buttano giù interpretazioni e teorie che vogliono o polemizzare con la Chiesa o, viceversa, inneggiare alla Chiesa. Erri De Luca non cade nella facile strilloneria. Non vuole costruire nessuna teologia, nessuna teoria, non vuole fondare nessun nuovo movimento. Soprattutto, ripetiamo, non fa del sensazionalismo, non estrae dai testi interpretazioni sensazionali. Trae dai testi piccole cose, umane, pari a quelle piccole particelle di mica nelle roccia, brillanti ma buone a nulla.

 

 

 

 

 

note:

* Il libro di Tobia è in greco, ma in quel greco particolarissimo che interpreta l'ebraico, un ebregreco.