racconti di viaggio, breve antologia di libri belli, svariati per genere ma che hanno in comune il camminare nei boschi, tra i suoi odori e le sue fatiche.

copertina del libro

Hermann Hesse

Narciso E Boccadoro

Titolo originale:
Narziss Und Goldmund
Traduzione di C. Baseggio
Prima edizione: Berlino 1930
Prima edizione italiana: Milano 1933

Nel suo letto di musco, prima d'addormentarsi, ascoltava curioso e inquieto i mille rumori notturni, misteriosi e incomprensibili della foresta. Erano ormai i suoi camerati, doveva viver con loro, abituarsi a loro, con loro misurarsi e andar d'accordo; apparteneva ormai alla famiglia delle volpi e dei caprioli, degli abeti e dei pini, con loro doveva vivere, con loro dividere l'aria e il sole e aspettare il giorno e patir la fame, essere insomma loro ospite.

Boccadoro conosceva la regione, percorsa tante volte a cavallo: sapeva che di là dalla palude gelata c'era un granaio del cavaliere, e più oltre una casa colonica, dove era conosciuto, in uno di questi due luoghi avrebbe potuto sostare e pernottare. Per dopo avrebbe provveduto il domani. A poco a poco lo riprendeva quel senso della libertà e della terra straniera, a cui da qualche tempo s'era disabituato. Molto allettante non era, la terra straniera, in quella giornata d'inverno gelida e accigliata, sapeva di stento, di fame, di tribolazione, e tuttavia dalla sua vastità, dalla sua grandezza ed inesorabile asperità veniva al cuore viziato e sconvolto di Boccadoro un suono rassicurante e quasi di conforto.

Il ghiaccio ricominciò a spingere i fiumi in basso, sotto le foglie morte tornarono ad olezzar le viole, Boccadoro riprese la sua corsa in mezzo all'alternarsi vivace delle stagioni, si riempì gli occhi insaziabili di boschi di monti e di nubi, camminò di casolare in casolare, di villaggio in villaggio, di donna in donna, più d'una volta nella sera fresca sedette col cuore oppresso e triste ai piedi d'una finestra illuminata, il cui rosso bagliore irradiava, dolce e irraggiungibile per lui.

copertina del libro

Jack London

Il richiamo della foresta

Dopo qualche tempo il lupo si allontanò trotterellando lentamente in un modo che mostrava chiaramente che si recava in qualche luogo, facendo capire a Buck che doveva andarvi anche lui, e corsero a fianco a fianco nel buio crepuscolo su per il letto del torrente, nella gola da cui scaturiva, e varcando la nudacresta ove erano le sue sorgenti. Sull'opposto pendio scesero in una regione pianeggiante con grandi distese di boschi e molti fiumi, e per queste distese corsero decisi, per ore e ore, mentre il sole saliva sempre più e il giorno diveniva sempre più caldo. Buck aveva una gioia selvaggia. Capiva di rispondere finalmente al richiamo correndo così a fianco del suo fratello del bosco verso il luogo da cui certo quel richiamo veniva.

copertina del libro

John Tolkien R. R.

Il Signore degli Anelli
2004 Bompiani

Quando ebbero finito di fare colazione, ed i fagotti furono di nuovo ben imballati, erano le dieci passate e la giornata stava diventando calda e luminosa. Discesero il pendio, attraversarono il ruscello in un punto dove si tuffava sotto la strada, risalirono il versante
opposto, e poi di nuovo su e giù decine di volte lungo la cresta dei colli; i cappotti, le coperte, l'acqua, il cibo e gli altri attrezzi vari incominciarono a pesare terribilmente. Il cammino che li attendeva prometteva di essere caldo e faticoso. Comunque, dopo qualche miglio la strada smise di andare su e giù: si arrampicò fino ad una cima alquanto ripida, serpeggiando faticosamente, e da lì si preparò a scendere per l'ultima volta. Davanti agli Hobbit si stendevano ora le pianure macchiate qua e là da chiazze di alberi che fondevano in lontananza in una silvestre nebbiolina marrone. Guardarono, oltre Terminalbosco, il Fiume Brandivino. La strada serpeggiava ai loro piedi e pareva uno spago. «La via prosegue senza fine», disse Pipino...

Scattò come un daino, saettando tra gli alberi. Li condusse lontano, sempre più avanti, instancabile e rapido, poiché infine la sua decisione era presa. Lasciarono indietro i boschi intorno al lago. Scalarono lunghi e cupi pendii, i cui contorni si staccavano netti contro il cielo rosso del tramonto. E venne il crepuscolo. Andavano veloci, come ombre grigie per contrade rocciose. Il vespero si oscurò. Alle loro spalle la nebbia circondava i piedi degli alberi e covava sulle pallide rive dell'Anduin, ma il cielo era limpido. Spuntarono le stelle. La luna crescente saliva nella parte occidentale del cielo e le ombre delle rocce erano nere. Giunti alle falde di colli pietrosi, incominciarono a procedere più lentamente, perché le tracce non erano più facili da scoprire. Ivi le alture dell'Emyn Muil si ergevano in direzione nord-sud, in due creste lunghe e scoscese, i cui fianchi occidentali erano ripidi e faticosi da scalare; ma le pendici orientali erano più dolci, intagliate da molti burroni e stretti dirupi. Tutta la notte i tre compagni si inerpicarono su per quelle terre accidentate, raggiungendo la cima della prima e più alta delle creste per poi ridiscendere dall'altra parte nel buio di una profonda valle sinuosa. Lì, nell'ora fresca e tranquilla che precede l'alba, si concessero un breve riposo.

Durante le prime tappe avanzarono più veloci di quanto non avesse sperato. Il paese era rude e ostile, eppure percorsero molta strada, e la Montagna diveniva sempre più vicina. Ma via via che il giorno si allontanava e la tetra luce incominciava a svanire, Frodo si fece di nuovo cupo e stanco, e avanzava vacillando e inciampando, come se lo sforzo recente avesse assorbito tutta l'energia che restava in lui. Quando si fermarono per l'ultima tappa, egli si accasciò per terra e disse: «Ho sete, Sam», e non parlò più. Sam gli diede un sorso d'acqua: ne rimaneva soltanto un altro. Sam non bevve. Ma ora, mentre la notte di Mordor si chiudeva di nuovo su di essi, tutti i
suoi pensieri erano dominati dal ricordo dell'acqua; ogni ruscello, fonte o sorgiva veduto fino allora sgorgava e scorreva come un tormento nel buio dei suoi occhi.

Richard Adams
La collina dei conigli

copertina del libro

Titolo originale dell'opera:
Watership Down
Traduzione di
Pier Francesco Paolini

Rizzoli Editore, Milano

Il bosco, fin dal primo momento in cui v'entrò, gli sembrò pieno di rumori strani. C'era l'odore di foglie marce e muschio, e s'udiva dappertutto lo sciaguattio dell'acqua. Poco oltre, il torrente formava una cascatella il cui scroscio, sotto la volta alberata, echeggiava come dentro una caverna. Si sentivano uccelli starnazzare fra le frasche. La brezza notturna faceva stormire il fogliame. Ogni tanto un rametto secco si schiantava. E v'erano rumori più sinistri, crepitii senza nome, da lontano: rumori di qualcosa che si muove. Per i conigli, tutto ciò che è ignoto è pericoloso. Alminimo allarme, trasaliscono, e il loro primo impulso è di darsi alla fuga. E di continuo qualcosa li faceva trasalire, in quel luogo, sicché in breve cominciarono a sentirsi affaticati. Cosa significavano quei rumori? E dove scappare, poi, in quell'intrico selvaggio? I conigli serrarono i ranghi. La loro andatura si fece più lenta. Ben presto smarrirono il ruscello. Nelle radure, al chiardiluna, spiccavano corse, arrestandosi poi fra i cespugli, a orecchi dritti, occhi sbarrati. La luna era ormai bassa e la sua luce, dove filtrava obliqua fra i rami, appariva più densa, più vecchia, più gialla. Da un mucchio di terriccio sotto un agrifoglio, Moscardo osservò uno stretto sentiero, fiancheggiato da felci e cespugli di saggina. Le felci ondeggiavano lievemente alla brezza ma, fin dove l'occhio si poteva spingere, non si vedeva nulla per quel viottolo, tranne delle ghiande sparse al suolo ai piedi d'una quercia. Cosa si celava però fra la vegetazione? E, là, oltre la svolta? E cosa poteva accadere a un coniglio che, lasciato il riparo dell'agrifoglio, si avventurasse per quel sentiero? Si rivolse a Dente di Leone che gli stava a fianco.
«Voi aspettate qui» gli disse.

copertina del libro

Wilbur Smith

La spiaggia infuocata

Tea 1993

copertina del libro

Wilbur Smith

L'Uccello del Sole

Edizioni Longanesi

Favoriti dalla vivida luce della luna, Timone e Sellene avevano camminato in fretta. Ci sarebbero volute due settimane per raggiungere il Grande Fiume, perciò, in quelle prime ore di fuga, si erano preoccupati di mettere la maggiore distanza possibile fra loro e gli inseguitori. Fecero soltanto una breve sosta a un guado per bere e riposare un poco, poi proseguirono veloci. Ma, quando la luna tramontò, rimasero solo le stelle a illuminare il loro cammino e, in un tratto accidentato del sentiero, Sellene cadde pesantemente Timone si inginocchiò accanto a lei. «La caviglia!» gemette la ragazza con voce arrochita dal dolore. La parte offesa scottava e cominciava già a gonfiarsi.

copertina del libro

David Le Breton

Il mondo a piedi. Elogio della marcia
Traduzione di Dornetti E.
Feltrinelli

ISBN 8807817608

Camminare significa aprirsi al mondo e godere dei suoi sapori. I sensi di chi cammina sono costantemente sollecitati dagli odori, i colori, i suoni. Il corpo vibra, si ritrova quell'incanto di vivere che troppo spesso viene oscurato dagli obblighi quotidiani. E ogni territorio comunica un tipo di felicità particolare. Per me camminare in una città che non conosco, o che ritrovo dopo mesi o anni, è un piacere sensoriale tanto quanto lo è camminare nelle Vosges o su un'isola greca. Il cammino permette di sentire profondamente il proprio corpo, troppo spesso dimenticato. Molti nostri contemporanei non sono più capaci di vivere senza "protesi", e l'automobile è forse la peggiore di queste.

Secondo lei, dobbiamo reimparare a camminare?
Camminando si riscopre il sentimento dell'esistenza, senza essere divorati dagli imperativi della comunicazione. Si prende il tempo di parlare, e di ascoltare. Si può tacere insieme o discutere a lungo. La parola conosce la sua pienezza. Succede spesso che i camminatori, dopo le loro lunghe passeggiate, prendono coscienza delle loro vite rovinate dall'urgenza e decidono di ricominciare tutto da capo.

Lei ha a lungo studiato il rischio. Il più grande rischio non è proprio quello dell'accelerazione permanente?
Quest'accelerazione mi sconcerta. La frenesia dei telefoni cellulari è sintomatica da questo punto di vista. Potere rispondere in ogni momento è diventato indispensabile. E oramai impossibile prendere un po' di tempo per sé, per curiosare, per ascoltare il mondo: sono tutte attività nemiche delle nostre società occidentali. Taylor e Ford, razionalizzando il lavoro, hanno dichiarato guerra al bighellonare, alla flânerie.

Quali sono, secondo lei, le virtù filosofiche e creative del cammino?
Il cammino ci restituisce alla nostra umiltà di esseri umani. Ci rimanda alle domande essenziali, al senso delle nostre vite. Camminando, il corpo liberato dalle costrizioni permette allo spirito di passeggiare nell'immaginario e nel pensiero. Primo apprendimento dell'infanzia, il cammino celebra ogni volta il ritrovo con la vita.

da http://www.feltrinelli.it/SchedaTesti?id_testo=16&id_int=29

copertina del libro
Una passeggiata nei boschi (A Walk in the Woods)
Bill Bryson
1997
Ugo Guanda Editore (e TEA), Parma 2000
L'Appalachian Trail: un sentiero di 3.400 chilometri che si snoda attraverso14 Stati americani, dalla Georgia al Maine. Il sogno di tutti gli amanti dellanatura e dell'avventura. Ed è proprio in cerca di avventura che, all'età di 44anni, Bill Bryson, in compagnia dell'amico Stephen Katz, si cimentanell'impresa di percorrere a piedi il leggendario sentiero, senza la minimacognizione delle elementari norme di sopravvivenza nella natura selvaggia.L'avventura dei due cittadini si svolge all'insegna di una divertitaincoscienza tra bufere di neve, nugoli di insetti, incontri con gli animaliselvatici e con una sorprendente varietà di individui.