ISCRIZIONI E TESTI SCRITTI DELL’ANTICO ISRAELE
Esercizi scolastici da Kadesh-Barnea, Lachish, Kuntillat Ajrud
Le iscrizioni di Khirbet el-Qom
Iscrizioni di Kuntillat ‘Ajrud
I due talismani di Ketef Hinnom
Iscrizione di En-Geddi su stalattite
Sigilli in genere e Ostraca di Samaria
Testi brevi
Abecedario di Izbet êarta
(cfr Smelik 20-21),
ritrovato nel 1976 durante gli scavi nel villaggio omonimo vicino ad Aphek e identificato senza molte ragioni con la biblica località di Ebenezer. Si tratta di due cocci (datati al 1200-1000 a.C.), ritrovati nel silos di una casa (israelita o cananaica?), iscritti, che congiunti danno una sequenza di 83 lettere, senza apparente significato logico, ma che rappresentano la quasi totalità delle lettere dell’alfabeto. Alcune lettere sono omesse o spostate di ordine, e la loro scrittura procede da sinistra verso destra (segno probabile di fluidità orale; più tardi si scriverà da destra verso sinistra). L’interpretazione più comune parla di esercizi scolastici. Tuttavia, alcuni abecedari possono avere avuto anche magica o religiosa (Barkay 1992), soprattutto se si tiene conto di usi simili dell’alfabeto o di sue parti in vasi incantatori aramaici o in papiri magici greci. In tal modo, gli abecedari possono fornire una ulteriore prova dell’uso della scrittura in una cultura orale.
Calendario di Gezer
(900 c.; cf Smelik 21-25): tavoletta in argilla (6,7-7,2 x 11,1 cm) , ritrovata nel 1908 da Macalister durante il suo scavo-devastazione di Tell Jezer, privo di una precisa stratigrafia (lo strato di ritrovamento va dal sec. XI al VI a.C.). In base alla tipologia delle lettere, viene datata alla fine X sec. a.C. (dopo Salomone), ma con molta precauzione, data la mano inesperta che traccia le lettere. Data ancora l’incertezza nella lettura delle tre lettere aggiunte al margine inferiore (iniziali di un nome israelita ’aby[jah]? opp. ’aby (padre mio)? opp. le prime tre lettere dell’alfabeto ugaritico ’alef, beth, ghimel ?), anche in questo casto caso non è possibile decidere se si tratti di uno scritto cananaico o israelita.
A parte alcuni dettagli, il testo viene interpretato come segue:
“Due mesi: mietitura. Due mesi: / semina. Due mesi: ultima erba. / Un mese taglio di lino. / Un mese mietitura dell’orzo. / Un mese mietendo e misurando. / Due mesi: potando (viti). / Un mese frutti d’estate”.
Il testo utilizza una formula ripetitiva: tre volte “due mesi x “ , tre volte “un mese x”, una volta alternate ciascuna delle due formule in finale. Lo stile è di canzone popolare. Formato e tema appartengono dunque alla cultura orale, e interpretare il calendario unicamente come esercizio scolastico di scrittura (NB. nel caso sarebbe per formare uno scriba, o un amministratore, non un agricoltore) non ne esaurisce la testimonianza. Si noterà che la sequenza lino-orzo corrisponde a quella che si trova in Es 9,31-32: “Ora il lino e l'orzo erano stati colpiti, perché l'orzo era in spiga e il lino in fiore; ma il grano e la spelta non erano stati colpiti, perché tardivi”.
Calendario agreste di Gezer
In caratteri ebraici antichi, X-VIII secolo, museo dell’antichità di Istanbul, trovata nel 1908 a Gezer dall’archeologo scozzese R.A.S. Macalister
Per due lune si raccolgono le olive
Per due lune si seminano i cereali
Per due lune la semente tardiva
Per una luna si strappa il lino
Per una luna si raccoglie l’orzo
Per una luna si raccoglie il frumento e tutto il resto
Per due lune si pota la vite
Per una luna si raccoglie la frutta
Per due lune si raccolgono le olive |
Settembre ottobre |
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Per due lune si seminano i cereali |
Novembre dicembre |
dopo le piogge si arava e seminava |
Per due lune la semente tardiva |
Gennaio febbraio |
altra semina dopo le piogge tardive |
Per una luna si strappa il lino |
Marzo |
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Per una luna si raccoglie l’orzo |
Aprile |
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Per una luna si raccoglie il frumento e tutto il resto |
Maggio |
Al sud sino a fine maggio, a nord, in Galilea, sino a fine giugno inizio luglio |
Per due lune si pota la vite |
Giugno luglio |
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Per una luna si raccoglie la frutta |
Agosto |
Soprattutto fichi |
Esercizi scolastici da Kadesh-Barnea, Lachish, Kuntillat Ajrud
(cfr Smelik 25-28), VIII-VII sec. a.C., ora in contesto sicuramente israelitico.
Tre testi contengono sequenze di numeri e un testo contiene numeri e unità di peso. A fianco, abbozzo di leone e lettere (le prime cinque dell’alfabeto tra altre), sulla scalinata di una fortezza di Lachish.
Le iscrizioni di Khirbet el-Qom
(750 c.; Smelik 152-155).
Nel 1967 due tombe con iscrizioni furono scoperte presso Khirbet el-Qom, 14 km a ovest di Hebron. La più interessante per il nostro scopo è la terza iscrizione, rinvenuta nella seconda tomba: “Uriyahu, il ricco, scrisse. Benedetto è Uriyahu per Yhwh, dai suoi nemici egli lo ha liberato per la sua asherah. Per Oniyahu e per la sua asherah, la sua a[sh]erah”. Oltre le incertezze testuali e interpretative, sembra non risolto il problema se qui per “asherah” si intenda uno “strumento” con cui Yhwh ha salvato il suo protetto (un oggetto del culto yahwistico?) o se vi si debba ravvisare la controparte israelitica del diffuso culto cananaico alla moglie di El (cf 1Re 18,19 che menziona “quattrocento profeti di Asherah).
Una nota particolare merita il disegno della mano: si ricorderà che la parola yad che corrisponde a questo segno (anche nella storia dell’alfabeto!), ha talvolta nei testi biblici il significato di “monumento sepolcrale”. Il più famoso di questi testi, Is 56,6, dà il nome “Yad washem” all’attuale Museo della Shoah, a Grusalemme: “... io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un posto (rev. cei: “un monumento”) e un nome migliore che ai figli e alle figlie (rev. cei: “più prezioso che figli e figlie”), darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (cf anche 2Sam 18,18). A meno che non vi si devva vedere un segno magico per allontanare i pericoli, allo stesso modo con cui fino ad oggi una “mano” viene portata o appesa come amuleto portafortuna.
Iscrizioni di Kuntillat ‘Ajrud
(cfr Smelik 155-160), fine IX-inizio VIII sec. a.C.; scoperte nel 1975-1976, a una cinquantina di km a sud di Kadesh-Barnea, in una costruzione generalmente interpretata come luogo religioso di incontro per le carovane in viaggio. Si tratta di brevi formule dedicatorie e di benedizione iscritte o sull’intonaco delle pareti o su giare.
Una di queste include un epiteto di Yhwh e anche un riferimento alla sua consorte: “Disse E... il ... : Di’ a Y... e Yoasah e ... : Io vi ho benedetto per Yhwh di Samaria e per la sua asherah”.
In un’altra si legge: “Amaryau disse: Di’ al mio signore, va bene? Io ti benedico per Yhwh di Teman e per la sua asherah. Egli ti benedica e ti protegga e sia egli con il mio signo[re]” (cf Ab 3,3 “Il Signore verrà da Teman”). Il collegamento di una medesima divinità con diversi toponimi è conosciuto e diffuso nella regione, senza che si debbano distinguere diversi dei: ad esempio Ba’al è conosciuto come Ba’al Zaphon, Ba’al Zebul ecc. (si pensi oggi alla Madonna di Lourdes , di Fatima... ). Ciò potrebbe illuminare in modo nuovo la firmula “Yhwh Sabaoth”, ancor oggi soggetta a disputa. Si noti la rassomiglianza della seconda iscrizione con Nm 6,24: “Ti benedica il Signore e ti protegga”.
Una terza iscrizione, non più completamente conservata, dice: [Io ti benedico] per Yhwh di Teman e per la sua asherah. Tutto quello che egli chiede da....”. È chiaro che i testi di Kuntillat Ajrud saranno importanti nello studio della storia della religione israelitica.
L’iscrizione di Ekron
(VII sec.). Scoperta nel complesso templare di Tel Miqne nel 1996, contiene 72 lettere su cinque linee iscritte su un blocco di arenaria alto 38 cm e largo 61: “Questo tempio fu costruito da Akish, figlio di Padi, figlio di Yasid, figlio di Ada, figlio di Ya’ir, capo di Ekron, per Ptgyh, sua signora. Possa ella benedirlo, e custodirlo, e prolungare i suoi giorni, e benedire la sua terra”. Demsky legge il nome della divinità come Pt[n]yh, e la identifica con la dea greca Potnia (“Signora”), supponendo un riferimento alla divinità cananaica Asherah.
In ogni caso, l’iscrizione di Khirbet el-Qom, di Kuntillat Ajrud e di Eqron vengono a confermare i numerosi testi biblici che condannano forme pagane di culto yahwistico, non solo in riferimento a tempi più antichi (cf Es 34,13; Dt 16,21; Gdc 6,25ss), ma soprattutto in riferimento ai tempi della monarchia (cf 1Re 14,23; 18,19; 15,13; 2R 18,4; 2Re 21,7; 23,4-7), con menzione di particolari oggetti di culto (1Re 14,15 “pali sacri” = asherah; 15,13; 2Re 13,6; 17,10). In più, la “asherah”, in queste iscrizioni non arriva ad avere una esistenza autonoma da yhwh, ma resta a lui strettamente collegata (“la sua asherah”).
Lo stile e il contenuto dedicatorio di questi messaggi sono di casa nel mondo della tradizione orale, essendo le formule dedicatorie dei marchi metonimici di una tradizione più ampia. L’atto di mettere in scritto simili dediche o benedizioni porta la presenza di Dio in una specie di realtà fisica e una tale materializzazione dura nel tempo. Si tratta dunque di testimonianze di una cultura orale più che di una letterarietà di tipo moderno.
I due talismani di Ketef Hinnom
(cf Smelik 160-162):
ritrovati in una camera funeraria (3 x 3 m.) durante gli scavi promossi dalla Chiesa di Scozia e guidati da G. Barkay nella valle della Geenna (Gerusalemme), risalenti al VII-VI sec. a.C., tempo preesilico. Sui banchetti ai tre lati della camera si trovano dei repositori in cui venivano raccolti i resti ossei di numerose inumazioni secondarie (l’espressione tradizionale “essere riunito con i propri padri” aveva come si vede un significato anche molto concreto, potendo una medesima tomba familiare servire per numerose generazioni). In uno di questi repositori si ritrovarono 95 corpi, 263 pezzi di ceramica, gioielli, 40 spille e innumerevoli altri oggetti, segno che la tomba fu in uso per circa sei secoli. Tra questi doni funerari furono ritrovati due piccoli rotoli in lamina d’argento, che fu possibile svolgere salvando il testo che vi era iscritto. Dalla forma delle lettere ancora riconoscibili si ha una datazione risalente al VII-VI secolo.
I due rotoli includono delle formule di benedizione molto simili a quelle sacerdotali di Nm 6,24-26, una quasi identica , l’altra più breve, tanto che alcuni hanno parlato della prima testimianza di “scritti biblici”. In realtà, essi testimoniano di un continuum orale-scritto e di una metalità orale che permane anche dopo la diffusione della scrittura. Le benedizioni non costituiscono un set stabile di formule, ma sono riportate in due versioni, anche nella forma scritta. È chiaro che la versione più corta ha un valore metonimico rispetto a quella più lunga, e la forma scritta porta il potere della divinità nel mondo dei morti (evidentemente, le scritture poste in una tomba non erano pensate per essere lette, a parte la difficoltà di svolgere senza danno i due finissimi rotoli).
Iscrizione di En-Geddi su stalattite
(cfr Smelik 163), VIII-VII sec. a.C., con inchiostro nero. Scoperta nel 1974, in una grotta difficile da raggiungere. Il testo sembra potersi decifrare: “Maledetto chi cancellerà... Benedetto è Yhw[h]... Benedetto tra le nazi[oni] come re. Benedetto il mio signore”. Si tratta chiaramente di un testo religioso e scritto da una mano esperta (d’altra parte perché portarsi inchiostro e penna in un posto così, se uno non è un professionista della scrittura?). Tuttavia, ciò che scrive è di tipo formulare, include il potere di benedire e maledire rafforzato dalla messa in scritto, ciò che di nuovo è tipico di una mentalità orale.
Graffiti di Khirbet Beit Lei
(cf Smelik 165-167), scoperti nel 1961 sui muri della stanza principale di una tomba 8 km a est di Lachish, sono datati o del tempo di Giosia, o di Ezechia, o dell’Epoca Persiana, o ancora meglio della fine della monarchia. Si tratta di nove testi. I tre più importanti possono essere decifrati con diverse incertezze: “Yhwh è il Signore di tutta la terra, / le montagne di Giuda (appartengono) al Signore di Gerusalemme” (cf stesso plurale solo in 2Cr 21,11, e l’espressione “Signore di Gerusalemme” solo in 2Cr 32,19); “Interessati, Yhwh, (con) misericordia / dichiara innocente, Yh Yhwh” (cf Sal 80,14-15; 19,13), “Libera, Yhwh”. Si tratta di una vera e propria confessione di fede giudaica, da capire forse durante una situazione di pericolo. Dal nostro punto di vista, si noterà di nuovo che lo scritto non intende trasmettere un buon pensiero su un muro piuttosto che su un papiro, quanto invece propiziare degli eventi guidati dalla divinità. Ciò che è di nuovo uno dei maggiori contributi della scrittura in un mondo orale.
Ostracon di Horvat ‘Huza
nell’est del Negev, 750 a.C., tredici linee con inchiostro, presentate come un testo “letterario”. La parte decifrabile sembra essere una maledizione contro il destinatario del testo, se egli non farà quanto gli viene richiesto, in particolare l’ultima linea dice “la tua tomba sarà distrutta”. Mentre è vero che lo stile si avvicina ad alcuni testi biblici profetici, è anche vero che il testo è ricco di caratteristiche della scrittura così come viene usata nelle culture orali. Il testo rende più permanente la maledizione e ne assicura l’esecuzione.
Sigilli in genere e Ostraca di Samaria
(cfr Smelik 55-62).
Ritrovati nel 1910 in un edificio forse adibito a deposito. Si tratta di 102 cocci in genere di colore chiaro, iscritti con inchiostro nero (la maggior parte) o incisi. La loro datazione sembra doversi situare per un primo gruppo tra il 794-793 (nono e decimo anno del regno di Joas) e per un secondo grupo verso il 773 (quindicesimo anno del regno di Geroboamo). Il contenuto è in genere ripetitivo: in ordine non sempre identico, troviamo data, tipo di prodotto (vino o olio), il nome del posto o del distretto di provenienza preceduti dalla preposizione min, i nomi delle persone destinatarie talvolta preceduti dalla preposizione le . Ad es., l’ostrakon n. 2 (riprodotto a fianco) dice: “Nel decimo anno. Per Gaddiyaw. Da Azah. Abibaal 2. Ahaz 2. Sheba 1. Meribaal 1”.
Si tratta di resoconti di decime o tasse pagate in natura al palazzo reale? Oppure si tratta di approvvigionamenti ? O ancora dei prodotti provenienti dai possedimenti del re e destinati ai notabili della sua corte residenti in città?Questa terza ipotesi sembra oggi più probabile:
cf 1Sam 8,14-15: “14 Si farà consegnare ancora i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li regalerà ai suoi ministri. 15 Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi consiglieri e ai suoi ministri”;
cf 1Sam 22,7: “7 Saul disse allora ai ministri che gli stavano intorno: «Ascoltate, voi Beniaminiti, voi tutti che siete qui. Forse il figlio di Iesse darà a tutti voi campi e vigne, vi farà capi di migliaia e capi di centinaia, 8 perché voi tutti siate d'accordo contro di me?”;
cf 2Sam 9,10-11 :”9 Allora il re chiamò Zibà servo di Saul e gli disse: «Quanto apparteneva a Saul e a tutta la sua casa, io lo dò al figlio del tuo Signore. 10 Tu dunque con i figli e gli schiavi lavorerai per lui la terra e ne raccoglierai i prodotti, perché abbia pane e nutrimento la casa del tuo signore; quanto a Merib-Bàal figlio del tuo signore, mangerà sempre alla mia tavola». Ora Zibà aveva quindici figli e venti schiavi. 11 Zibà disse al re: «Il tuo servo farà quanto il re mio signore ordina al suo servo». Merib-Bàal dunque mangiava alla tavola di Davide come uno dei figli del re”. (Per il seguito di questa storia, cf 2Sam 16,1-4 e 19,24-30).
In ogni caso, i segni identificativi di questo tipo dovevano certo essere accessibili agli “addetti ai lavori”, ma non bisogna affiancare questa “letteratura” a quella della lettura-scrittura della Bibbia. Basti ricordare come gli immigranti italiani o ebrei dell’inizio secolo erano capaci di alcune attività commerciali scritte senza per questo essere capaci né di scrivere una lettera in inglese né di leggere un giornale.
Per la storia della religione israelita, interessante il fatto che fra i nomi di persona, appaiono nomi di origine egiziana, nomi riferiti a Baal, e nomi includenti l’abbreviazione del nome divino Yhwh (il rapporto è di 8 a 11). Si tratta dunque di una popolazione mista, in cui diversi culti coesistono o in cui il nome di Baal (padrone, signore) viene anch’esso riferito Yhwh. Si ricordino, inoltre, le parole del profeta Amos contro il lusso smodato dei notabili che “bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano” (Am 6,6) .
Lettere
Finora ci sono pervenute circa una cinquantina di lettere databili tra il 700 e il 135 a.C. La Bibbia ci riporta alcuni testi di lettere dettate a degli scribi ma destinate ad essere lette a voce alta al destinatario da qualche portavoce o segretario. Da ciò stesso appare che queste lettere, pur situandosi verso l’estremo letterario del continuum orale-scritto, appartengono tuttavia a un contesto orale. Ciò appare anche dallo stile altamente formulaico presente in esse, ciò che esime dal richiedere agli scriventi una qualsiasi specializzazione “letteraria”.
Lettera di Yavneh-Yam
(cf Smelik 93-100), ritrovata nel 1960, circa due km a sud di Yavneh-Yam, databile al tempo di Giosia.
Si tratta di quattordici linee, in cui un lavoratore chiede l’intervento probabilmente del comandante locale della guarnigione per riavere il mantello che forse il responsabile della mietitura gli ha preso come pegno per obbligarlo a concludere il suo lavoro, lavoro che però lo scrivente sostiene avere concluso. Notare di passaggio due dati particolarmente interessanti: la rassomiglianza della prima linea “Ascolti il governatore mio signore la parola del suo servo” con l’inizio dell’appello di Davide a Saul in 1Sam 26,19 “Ascolti dunque il re mio signore la parola del suo servo”, e la situazione stessa della scena, che riproduce il caso di un mantello preso in prestito previsto dalla legge in Es 22,25-26 e Dt 24,12-15.17, legge che però non viene citata, o perché non conosciuta o perché si lascia al destinatario tutto lo spazio opportuno affinché eserciti autonomamente la sua “benevolenza” (ultime linee).
Se da una parte la lettera testimonia che la scrittura è disponibile ormai anche alle classi povere, d’altra parte la scrittura è chiaramente quello di uno scriba specializzato, che probabilmente esercita la sua professione alla porta d’ingresso dell’edificio del comandante e al quale si rivolgono quanti intendono presentare qualche istanza ufficiale (la scena è frequente tutt’oggi all’ingresso dei ministeri sia ad Amman sia a Gerusalemme est, per i palestinesi). Lo stile del resto lascia trasparire un discorso orale, che lo scrivente riproduce.
Ostraca di Arad (cf Smelik
100-115), 21 lettere, databili tutte (eccetto la 40) in un periodo immediatamente precedente la conquista babilonese del 597.
Si tratta di comunicazioni militari riguardanti i vettovagliamenti. L’ostrakon n. 2 (riprodotto a fianco) dice: “Ad Eliashib. E ora, dai ai Kittim 2 bat di vino per i quattro giorni e 300 pani. E riempi con vino spumante, e tu (li) consegnerai per domani. Non rimandare! E se c’è ancora un po’di vino aceto, allora (lo) darai a loro”. Questo tipo di vino nominato in questo ostrakon lo ritroviamo in Dt 32,14: “sangue di uva, che bevevi spumeggiante” e in Sal 75,9: “Poiché nella mano del Signore è un calice ricolmo di vino drogato”. Il vino aceto nominato al termine veniva usato anche come bevanda, come appare da Rt 2,14; Sal 69,22; Mt 27,48 e par.
Ostraca di Lachish
(cf Smelik 116-131),
databili al 589 o all’inizio del 588. Soprattutto la terza lettera è sovente portata a prova della diffusa capacità “letteraria” in Israele. In essa, il comandante militare locale si difende dall’accusa che un suo superiore gli fa di aver capito male una lettera precedente: “Perché il tuo servo si è sentito male al cuore dal momento che avete mandato (quella lettera) al vostro servo. In essa il mio signore diceva: «Non sai come leggere una lettera?”. Com’è vivo Dio, nessuno ha mai cercato di leggere una lettera a me! In più, quando mi arriva una qualsiasi lettera, dopo averla letta io sono capace di ripeterla fino al minimo dettaglio”. Tuttavia, l’affermazione dello scrivente circa la sua competenza di lettore non implica affatto che tutti quelli del suo rango siano competenti come lui, ma al contrario lascia intravedere l’orgoglio di essere al di sopra della norma. Così pure, il puntiglio con cui precisa la sua abilità a ripetere nei dettagli il contenuto di ogni lettera, evidenzia una competenza tipica di quanti in un contesto di tradizione orale fanno affidamento sulla lettura in modo molto minore del nostro. Infine, non bisogna dimenticare che la capacità di leggere non implica necessariamente la capacità di scrivere.
Scritti monumentali
L’iscrizione di Siloe
(cf Smelik 69-71),
scoperta nel 1880, descrive gli ultimi momenti dello scavo, quando i due gruppi di scavatori stanno per incontrarsi e gli uni sentono i colpi di picco e le voci degli altri (si veda la topografia)
L’iscrizione è diversa da altre iscrizioni monumentali, sia per lo stile che è narrativo, sia per il fatto che non è accompagnata dalla raffigurazione di chi la comanda o l’autorizza (in genere il re), pur essendo stato preparato sulla roccia uno spazio molto più ampio di quello effettivamente utilizzato. Smelik spiega il tono narrativo pensando all copia da un testo più ampio contenuto eventualmente nel “Libro delle cronache dei re di Giuda”, visto anche che all’opera del tunnel si allude in 2Re 20,20. In questo caso avremmo un utilizzo quanto mai “letterario” della scrittura. Tuttavia, Barkay osserva che l’ubicazione stessa dell’iscrizione all’interno di un buio tunnel dove di per sé nessuno passa, mette in evidenza che non si tratta di uno scritto “pubblico” destinato ad informare (uso letterario), quanto di uno scritto voluto dagli stessi lavoratori per immortalare la loro opera (uso orale della scrittura). In questo, l’iscrizione partecipa della natura “iconica” di ogni iscrizione monumentale pubblica, anche moderna, che non è mai pensata per essere letta nei dettagli (estremo letterario del continuum), quanto invece per essere considerata come parte di un insieme celebrativo o “memoriale” più ampio (estremo orale del continuum).
«Perforazione. E qui ebbe luogo il fatto della perforazione. Quando ancora (gli scavatori) battevano col piccone, uno a fianco dell’altro, e ancora vi era da perforare uno spessore di 3 cubiti, (si udì)/(dall’altra parte)/ la voce di uno che gridava al suo vicino, poiché lo scavo della pietra si eseguiva da destra e da sinistra. E nel giorno della perforazione gli scavatori battendo si incontrarono, gli uni contro gli altri, piccone contro piccone. E le acque fluirono dalla sorgente (di Gihon) alla piscina (di Siloe) per 1200 cubiti. E l’altezza della roccia sopra la testa degli scavatori era di 100 cubiti».
Iscrizioni di Deir ‘Alla
(cf Smelik 79-88), ritrovate nel 1960, databili intorno al 760 a.C., in inchiostro rosso e nero su pezzi di intonaco ricostruito in “combinazioni” di frammenti. Nella “combinazione 1”, il profeta Balaam riceve un breve messaggio dagli dei-Shaddai che poi egli trasmette in un più lungo discorso (tecnica che si ritrova ad es. anche in Geremia) contenente una profezia su un imminente castigo, descritto come una inversione delle condizioni conosciute del mondo, e invita i suoi uditori a “fare attenzione”.
L’iscrizione si trovava all’interno di una stanza di un complesso non definitivamente interpretato, ma quasi sicuramente cultuale, sovrapposto su un precedente santuario. La particolare ubicazione delle iscrizioni sui muri di una stanza ci riporta alla funzione trasformativa e magica attribuita alla scrittura in una cultura orale: essa ha qui la funzione di definire e rendere sacro uno spazio, in cui chi entra è invitato a partecipare dell’esperienza spirituale del profeta. Il testo aiuta a contestualizzare e a datare le profezie di Balaam contenute in Nm 22-24 così come anche mostra che il genere letterario biblico profetico è meno isolato di quanto si credesse: cf le “inversioni” di situazione in negativo ma anche in positivo negli oracoli profetici (cf Is 11,1-9), nel canto di Anna (1Sam 2,1-10) e nel Magnificat (Lc 1,46-55.
Conclusione
Lo studio epigrafico è quanto mai utile a precisare la nozione di letteratura nell’Israele antico. La maggior parte dei testi e delle lettere sono di tipo pragmatico e breve (militare o commerciale). Questo tipo di scritti appare più comune nella seconda metà della monarchia, anche se il vasto uso di sigilli appare sostitutivo di scritti più espliciti.
Gli scritti che non appartengono a questo tipo pragmatico hanno un valore iconico, simbolico, e non appaiono primariamente dedicati a comunicare (ad es. l’iscrizione di Ezechia è nascosta nel tunnel scavato). Lo scrivere crea identità, o rendendo una persona immortale o creando degli spazi sacri. Il potere della scrittura è così grandemente rispettato. Una tale concezione della scrittura è esattamente quella diffusa in un ambiente non letterario.
In conclusione, l’Israele antico vive in un ambiente che si avvicina piuttosto all’estremo orale del continuum orale-letterario.